Laim si rialzò da terra a spada tratta, ma si trovò davanti un figuro incappucciato dallo sguardo folle che corse via prima che lui potesse fare qualsiasi cosa, anzichè i due inseguitori, che sembravano aver lanciato un pugnale verso la sua gola.
Si rialzò di scatto, mettendosi in guardia, mentre, dietro di lui, una mezzo-drago dalle pupille dilatate e i nervi a fior di pelle, scrutava nervosamente le ombre come se si aspettasse che quelle diventassero improvvisamente vive e pronte a divorarli entrambi.
Ma che ti è saltato in mente?Significava questo, in sostanza, il frenetico gesticolare di Ghilendor, che fissava il fratello con un ringhio mentre questi si massaggiava la spalla e lo fissava di rimando con un'aria ferita da cane bastonato.
Scusami, fratello, rispose Narhd, nel medesimo codice silenzioso, il Linguaggio Silenzioso degli Assassini, una delle tante, inesauribili, risorse della Corporazione.
Ghilendor gli impedì di proseguire, mettendolo a tacere con un secco e brusco cenno della mano.
Narhd capì di averla fatta grossa.
Di solito suo fratello non si arrabbiava facilmente...in special modo con lui.
Ti atterrai ai piani, senza prenderti iniziative tue?I gesti bruschi, lo sguardo duro.
Narhd chinò il capo e assentì, capendo che non era il caso di continuare a mettere i bastoni fra le ruote a Ghilendor, e che la sua frettolosità nel concludere quello spiacevole incarico non li avrebbe portati più lontano delle fauci di un'orrenda bestia per metà drago e per metà leone che trascorreva il tempo, quando non divorava traditori e assassini inconcludenti, a sonnecchiare tranquilla sul bel tappeto nelle camere dell'Arcimago, o leccando le mani al padrone come un innocuo animale domestico normale.
Il pensiero era sufficientemente repellente da far passare a Narhd la voglia di cedere all'istinto e agli impulsi.
Non ricordava esattamente come l'Arcimago avesse chiamato la bestia, quando, una volta, trovandosi a colloquio con lui, l'Arcimago aveva richiamato il leone-drago, che era silenziosamente scivolato dietro le spalle di lui e suo fratello, ed era andato a sistemarsi accanto al padrone.
La silenziosità del passo di quella bestia lo terrorizzava.
Nonostante la stazza, potevi trovartela dietro in un attimo senza nemmeno accorgertene.
Quest'idea non era mai piaciuta ne a Narhd ne tantomeno a Ghilendor, quindi meglio evitare di dare all'Arcimago un buon motivo per spingerceli dentro.
Ghilendor, intanto, che non voleva assolutamente perdersi il principe nei meandri della buia fogna, cominciò subito la sua messinscena.
"Aiuto, qualcuno mi aiuti, mio fratello è ferito!"
Narhd lo fissò stranito, che diamine stava farneticando il mezz'elfo? lui era tutto intero e stava benissimo!
Ma, quando sollevò le mani per spiegarglielo, Ghilendor, per tutta risposta, lo agguantò per una spalla costringendolo a terra.
Nahrd, che a quel gesto capì cosa suo fratello si fosse appena fatto venire in mente, gli rivolse solo un sordo grugnito e un'espressione annoiata da bambino capriccioso che chiede perchè a nascondino tocchi sempre a lui contare, e si lasciò spingere giù.
Si strappò un lato del pantalone con un pugnale e incise la pelle, in modo da far uscire abbastanza sangue da creare un alone scuro abbastanza evidente e, soprattutto, abbastanza credibile.
Si strinse la ferita con entrambe le mani e cominciò a gemere e lamentarsi.
"Aiutami fratello, perdo sangue!"
Ghilendor si portò le mani ai capelli, eseguendo alla perfezione la mascherata del fratello preoccupato per il povero fratellino ferito.
"Oh cielo, Narhd, la tua gamba! Ti prego, resisti, ti salverò!"
"Morirò dissanguato!" gridò lui, di rimando, con voce talmente angosciata da far stringere il cuore a chiunque non avesse conosciuto realmente quei due farabutti dalla spiccata dote recitativa.
"No, no, ti prego! Non dire così, ti salverò, cercherò aiuto! Aiutatemi, vi prego! se ci siete ancora aiutatemi, per favore"
Laim stringeva i denti più forte che poteva.
Le sue mascelle erano serrate al punto da dolere.
"Shalenaar..."
Ma prima che potesse aggiungere altro, la mezzo-drago annientò ogni sua iniziativa con un perentorio "no", di quelli detti con il tono di chi non ammette repliche.
Il mezz'elfo la fissò insieme sconcertato e sconvolto.
Era pallido, non aveva quasi più colore in volto.
"Laim, mentono..."
"Ma Shalenaar..." protestò lui esasperato, sbracciandosi quasi esageratamente.
"Non senti quel povero fratello? ha bisogno d'aiuto, non senti com'è disperato?"
L'espressione dell'amica, però, rimase un'impassibile maschera di pietra.
Dura, inflessibile, imperscrutabile.
"So che ti fa soffrire, Laim" disse con voce dolce, quasi non sembrava il rigido automa di un attimo fa.
Laim era forse troppo altruista, al punto da scadere, a volte, nell'ingenuità.
Ma non era certo con divieti secchi e duri, da madre severa, che lo avrebbe aiutato a capire.
Rilassò le membra e addolcì la terribile espressione del suo viso.
"Ma devi capire che gli assassini della Corporazione non sono degli sprovveduti, e che tu sei il principe e non puoi fidarti di chiunque, perchè il Reggente e tutti coloro che collaborano con lui, ovvero tutti, eccetto forse il popolo, ti vogliono morto. Lo capisci questo?"
Il mezz'elfo contrasse i bei lineamenti all'ennesimo urlo di dolore di Nahrd e all'inevitabile disperazione dell'abile ed astuto Ghilendor.
Il principe teneva i pugni stretti, le braccia rigidamente parallele ai fianchi.
La mezzo-drago si avvicinò a lui, con la mano tesa.
"Andiamo" sussurrò la sua dolce voce all'orecchio di Laim, mentre lei lo tirava delicatamente via per un braccio.
Il mezz'elfo rilassò la sua postura e poggiò la mano su quella della mezzo-drago con fare conciliante e uno sguardo velato di tristezza e compassione.
Shalenaar capì.
Laim era riuscito a resistere al tranello dei due grazie a lei e la stava tacitamente ringraziando, ma il suo cuore doleva.
Lasciare due poveretti in una fetida fogna, anche due meschini assassini della Corporazione, non era un'azione nel suo stile.
La mezzo-drago diede una stretta al suo braccio, incitandolo a proseguire, a non fermrsi, a non cedere, a vedere al di là dell'illusione intessuta dai due scaltri sicari.
"Coraggio"
E il suo sorriso riuscì a far tornare un po' di colore e di felicità sul volto dell'amico.
***
La figura avanzò furibonda, senza degnare di un solo sguardo le guardie che l'avevano gentilmente salutata.
Migliaia di pensieri rabbiosi le ruggivano nella mente, facendole quasi perdere la concentrazione su ciò che stava facendo.
Tornò indietro con uno stizzito scatto dei piedi che solo il suo perfetto senso dell'equilibrio le impedì di non incastrare tra loro, con il rischio di farla cadere, e si ritrovò nuovamente davanti alle guardie, che stavolta la fermarono.
"Milady, siete ferita, permettemi di..."
Ma lei allontanò le braccia tese dell'uomo con un gesto rabbioso.
"Sto bene!" ringhiò, scomparendo oltre la scala a chiocciola.
Nival stava pazientemente fasciando le sue ferite.
Tamponava i tagli con acqua tiepida per poi cospargere di unguenti le bende ed avvolgerle intorno al suo corpo.
Niente di grave, ma i tagli che aveva alle braccia e alle gambe, più qualcuno sulla schiena e qualche graffietto da nulla sul petto e l'addome, erano abbastanza profondi.
Quanto bastava a far male e bruciare.
Si sentiva tutta la pelle intorno alle ferite tirare, facendole bruciare.
Era proprio una spiacevole sensazione.
Finì giusto un attimo prima che, messosi a sedere sul letto per riflettere sugli ultimi avvenimenti, la porta della sua stanza si aprisse.
Alzò di scatto la testa con aria imbronciata per protestare contro il molestatore che non si preoccupava di bussare per avere udienza, quando una voce limpida e melodiosa gli riempì le orecchie del suo stesso nome.
"Nival"
L'angelo rimase come imbambolato, mentre i suoi tratti si distendevano beati alla vista di quella meravigliosa creatura.
"Ayleen", mormorò lui, come in trance, e un'espressione più che trasognata.
Ma quando lei si richiuse la porta alle spalle, il cuore dell'angelo ebbe un sussulto.
Nival si sentì quasi morire alla vista della bellissima Ayleen con i bordi della candida veste stracciati e macchiati di sangue e polvere.
Le candide ali striate di rosso, che si lasciavano dietro una scia di piume imbrattate di sangue scarlatto, un taglio sulla sua bella fronte e i bei capelli biondi, ondulati, del colore del grano, che cadevano scomposti sulle sue spalle fino alla vita.
"Oh cielo, Ayleen" esclamò Nival, prendendo le bende.
"Siediti, ti prego"
Lei annuì e si sedette sul bordo del letto.
L'angelo, intanto, terribilmente preoccupato per la salute di lei, era già all'opera con l'acqua calda e gli unguenti.
Più tardi, dopo aver arrestato le diverse perdite di sangue e aver messo a posto bende e acqua calda, si sedette accanto a lei.
"Come stai adesso?", le chiese piano, sfiorandole il viso con una carezza.
Ma si bloccò alla vista del viso di lei.
Aveva una strana luce negli occhi.
Nival trasalì a quella vista.
"Ayleen, che cos'hai? sei strana..."
"Hai visto cos'ha fatto?" sbottò però lei, con le mani strette a pugno sulle ginocchia.
Nival si accigliò, ricomponendosi.
"Il Reggente" e la parola fece trasalire nuovamente l'angelo, spalancandogli gli occhi color ghiaccio.
Il Reggente?
Si riferiva forse all'avvenimento di quel tragico pomeriggio?
Quel pomeriggio che aveva dato così tanti crucci persino alla sua mente rigida e ligia al dovere?
"Ti rendi conto? un cancro che rode il regno...va estirpato...distrutto...spazzato via....così ha detto"
Le mani si strinsero e la voce si incrinò, ma lei continuò imperterrita, tremando per la rabbia, mentre Nival rimaneva immobile, rigido, a fissarla sconvolto.
"Dopo quell'elsplosione..." deglutì vistosamente "il Reggente ha detto che
chi si oppone non merità pietà"
"Ayleen" la riprese Nival, severo, stanco di quei discorsi, di quelle insinuazioni, ma lei gli si rivoltò contro, rabbiosa.
"Carta bianca per stanare i ratti!" gridò a voce tanto alta da far rimbalzare le parole da una parete all'altra della stanza.
"Così ha detto!"
Sembrava una belva.
Un animale furioso e spaventato.
Gli occhi, di un azzurro simile a quello del terso cielo estivo, erano diventati di ghiaccio.
"Quell'uomo considera gli altri suoi simili come animali, delle bestie...chi non va a genio a vossignoria deve morire!"
La donna si torceva nervosamente le dita tra di loro, fremendo di rabbia qer la persona sconsiderata che era il Reggente.
Quello che lei, fino a quel giorno, aveva creduto un eroe.
Nival era sconvolto.
Non sapeva cosa pensare.
nche lui aveva avuto dei dubbi, ma lui aveva capito.
C'erano delle spiegazioni.
Non era tutto lasciato al caso.
Il Reggente non era un animale.
Ma adesso i suoi pensieri andavano altrove.
Aveva paura, solo paura.
Una tremenda paura.
"Ayleen, abbassa la voce, ti prego" la supplicò, prendendole le mani e costringendola a calmarsi.
"Perchè continui a non vedere, Nival?" piagnucolò lei, esasperata, scossa da tremiti, con gli occhi lucidi di pianto, di rabbia e di dolore.
Nival la trinse forte, cercando di rassicurare lei e se stesso.
Non poteva permettere che Ayleen si facesse strane idee.
Non poteva permettere che passasse per una ribelle e venisse processata.
La staccò da se dolcemente, prendendole la testa fra le mani.
"Ayleen, hai frainteso" le disse fissandola dritto negli occhi, con voce ferma, non dandole modo di dubitare delle sue parole.
"Il Reggente si è espresso in certi termini perchè è preoccupato per tutto ciò che sta accadendo, e perchè la città è ormai in stato di allerta. Oggi pare che qualcuno sia stato ucciso..."
"Si" replicò lei, debolmente.
"Ho sentito l'allarme risuonare entro il perimetro delle mura..."
"E' proprio questo che il Reggente si propone di evitare" riprese lui, con convinzione maggiore.
"Non vogliamo che dei ribelli in preda alla sete di vendetta e alla furia omicida imperversino nella nostra bella città e non solo, ma nell'intera nazione. E purtroppo è giunto il momento di usare le maniere forti"
La donna rimase in silenzio un lungo attimo, riflettendo.
Alzò la testa verso di lui e, fissandolo intensamente negli occhi, disse: "E che mi dici di oggi?"
Il tono era calmo adesso, ma duro, quasi accusatorio.
Il fuoco era spento, ma ardeva ancora sotto la cenere.
"Sono morti solo dei traditori, Ayleen..." rispose Nival fermamente, convinto della veridicità di quell'affermazione.
"Noi siamo ancora vivi" aggiunse a testimonianza di ciò.
"Magari non ne siamo del tutto usciti indenni...ma siamo vivi. Era programmato, non un puro caso. L'incantesimo...o qualunque altra cosa esso fosse, non era indirizzato a tutti i presenti, ma solo ai ribelli...E loro sono morti"
Sebbene quella frasse suonasse chiaramente come
punto, fine della questione, la donna non sembrava aver voglia di tenere ancora per se le proprie considerazioni.
"Ma perchè non rinchiuderli?" ribattè, irremovibile.
"Perchè i ribelli durante le loro riunioni si scambiano informazioni sugli ultimi congegni e tipi di serrature e come scassinarle. I ribelli sono abili a scassinare una serratura almeno quanto un apprendista della Corporazione"
Ayleen accusò duramente il colpo e tacque.
"Ayleen" disse l'angelo in tono conciliante, sorridendo e scuotendole dolcemente la testa, che aveva tenuta ancora tra le sue mani.
Ayleen alzò lo sguardo sul suo viso, incrociando i glaciali occhi di Nival, che la scrutavano con una luce di apprensione e di preoccupazione.
"Non fare più simili discorsi...te ne prego"
Lei annuì piano piano, rimanendo in silenzio.
"Hai ragione...scusami..." sospirò.
"Se il Reggente ha fatto questo è per un'emergenza...è..." fece una breve pausa, alla ricerca delle parole più adatte.
"Per un bene superiore"
I dubbi erano spariti.
Edited by *Stellina_90* - 20/4/2008, 22:53