La Guerra senza Inizio e senza Fine

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view post Posted on 14/2/2008, 22:12

Fan di Reya, la Fata Metallara

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Il sole aveva appena finito di levarsi dai dolci rilievi boscosi dell'Emaneth quando un singolo squillo di tromba diede la sveglia all'intero castello.
Il suono rimbalzò a lungo tra le pareti di pietra bianca, per poi spegnersi dolcemente.
Mentre gli abitanti si svegliavano e le sentinelle notturne si avviavano sbadigliando ai dormitori, un angelo, perfettamente armato e pronto per la battaglia, attraversò con passo deciso il cortile della fortezza.
Si chiedeva come mai il Reggente lo avesse mandato a chiamare. Non ricopriva nemmeno una grande carica nell'esercito: aveva ai suoi ordini solo poche decine di uomini.
Reprimendo uno sbadiglio si avvicinò al portone di legno grezzo del maschio, ai cui lati sostavano due guardie. Gli uomini lo riconobbero e gli fecero un cenno di saluto, forse notando il volto tirato e l'accenno di occhiaie. Decisamente non era tipo da ronde notturne. Una notte di sonno persa gli faceva peggio che a molti altri.
Attraversò il portone, dirigendosi rapidamente verso le scale, quando una voce lo chiamò, facendolo voltare.

Edited by Isildur171 - 15/2/2008, 18:30
 
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view post Posted on 14/2/2008, 22:39

à_à

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Uno squillo di tromba ruppe l'aria, terso e limpido.
Immediatamente risuonò tutt'intorno un sentore di movimenti, sommesso e leggero.
"Non sarebbe prudente farsi trovare qui."
La figura seduta al tavolo arricciò la bocca in un sorriso di scherno.
"Sfuggo alle guardie di questa città da dieci anni, non ho bisogno che un oste avanti con gli anni mi dia lezioni di furtività."
L'uomo, avvolto da un mantello verde si alzò con leggerezza dalla sedia, posando il suo boccale di birra ormai vuoto sul tavolo di legno.
"Comunque sia, grazie per l'accoglienza e l'ospitalità."
L'oste lo guardò brevemente poi gli rivolse un rapido inchino e chiuse la porta dietro l'ombra avvolta da un mantello verde.
"Grazie a voi. E buona fortuna, maestà."

****


Completamente avvolto dal suo mantello verde scuro, col cappuccio calato sul volto, di cui si vedeva solo il mento coperto da una rada barba rossiccia, l'uomo camminava a passo sostenuto verso le porte della città.
Vide un percorso che l'avrebbe aiutato ad arrivarci più in fretta. Prendeva per un vicolo buio e scuro, probabilmente popolato da ratti e bestie del genere, nonché da ladri e borseggiatori.
Stava proseguendo per quella strada alternativa, quando, non si sa come nè perché, si ritrovò disteso a faccia a terra, colpito da qualcosa che l'aveva sbilanciato.
Si rialzò rapidamente e sfoderò la spada corta che portava sempre con sè e si preparò a fronteggiare l'aggressore, ma si accorse troppo tardi che mantello e cappuccio gli erano scivolati nella caduta.
Il bandito che l'aveva aggredito strabuzzò gli occhi e poi sorrise, osservando il delicato pendente che portava al collo, scintillante nel buio del vicolo e le sue orecchie leggermente appuntite, illuminate dal riverbero di quest'ultimo.
"Oho, il simbolo della casa reale. Devi essere Lui. Le guardie pagheranno per..."
Prima ancora che l'uomo potesse finire di pronunciare l'ultima parola, si ritrovò una spada piantata saldamente nel petto. Il colore abbandonò rapidamente il volto dell'uomo mentre tutta la sua vita scorreva via da quella ferita mortale.
Subitaneamente, un suono assordante risuonò tutt'intorno, seguito da uno sferragliare che indicava l'arrivo delle guardie.
Quella città era così onesta che avevano addirittura posto un'incantesimo che generava un forte allarme ogniqualvolta una vita veniva spenta con violenza.
Dannato il reggente e le sue Legioni.
"Pss.. Pss"
L'uomo si voltò verso la fonte di quel sussurro.
"Venite, maestà, seguitemi."
Senza esitare, pensando che ciò che lo aspettava laggiù non poteva essere peggio delle guardie, Laim Karonth, figlio del Re, entrò nelle fogne assieme al suo salvatore ignoto.
 
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93dabe
view post Posted on 23/2/2008, 16:14




Si muoveva silenzioso, nascosto fra le fronde, osservava il Figlio del Re entrare nella Galleria con l'altro tipo. Non sapeva chi era, ma non prometteva niente di buono.
Non per lui, almeno...
Aveva tenuto d'occhio il Principe tutta la notte, concedendosi sporadiche pause per riprendere qualche minuto di sonno, ma sempre osservando il turno di guardia che l'uomo era stato costretto a sopportare durante tutta la notte.
Domineddei, la Corporazione l'avrebbe ricoperto d'oro per la testa del legittimo Erede al Trono!
Guardò dall'altro lato della strada, dov'era appostato il suo compagno. Anche lui aveva seguito le mosse delle regie truppe notturne per tutta la durata della notte e ora vedeva anche lui il Principe seguire quel tipo nella galleria.
Non dovevano lasciarselo sfuggire! La sua testa valeva tanto oro quanto pesava tutto il Palazzo, non potevano lasciarsi sfuggire un occasione del genere.
Lanciò un sasso in direzione del compagno. Era il segnale convenuto.

Si vide arrivare il sasso vicino e attese, aspettando di vederne un altro.
Niente.
C'era solo quello.
Dovevano andare.
Si unì al suo compagno sulla strada, i cappucci ben calati sulla testa ed i pugnali infilati nella cinta e nello stivale destro. Lo richiedeva la Corporazione.
Ogni assassino viaggiava sempre con un'arma o più di scorta, nel caso i primi tentativi avessero fallito.
Proseguirono senza gardarsi e senza fiatare, emettendo solamente i rumori indispensabili, quelli degli stivali e del loro stesso respiro.
Poi, infine, arrivarono alla Galleria.
Si guardarono e gli occhi grigi incontrarono quelli verdi.
Poi seguirono i due nel buio corridoio.
 
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*Stellina_90*
view post Posted on 24/2/2008, 01:26




Laim seguì il suo salvatore lungo l'oscurità torbida delle fogne.
Si tenne attentamente vicino alle pareti, non desiderando affatto finire nelle luride e malsane acque di scolo di quel luogo pestilenziale.
Chiunque fosse stato a salvarlo era indubbiamente agile e veloce, ma il mezz'elfo gli stette dietro senza problemi, era abituato da tutta una vita alle fughe repentine e alle più azzardate manovre.
Improvvisamente , svoltando un angolo, il mezz'elfo dovette fermarsi per non investire il suo salvatore.
Rimase un attimo immobile a fissare l'individuo incappucciato.
Non vedeva granchè, aveva un mantello che ne avvolgeva del tutto il corpo e un cappuccio scuro.
"Chiunque voi siate vi ringrazio per il vostro soccorso" disse il Principe accennando un inchino di ringraziamento, ma la mano dello sconosciuto lo fermò trattenendogli il braccio.
Con stupore il mezz'elfo notò che la mano aveva la pelle leggermente squamata e lunghe e sottili unghie ricurve.
Alzò di scatto la testa giusto in tempo per incontrare il beffardo sorriso di un bel volto a lui noto.
"Shalenaar, sei tu!" esclamò sorpreso, spalancando gli occhi.
La donna davanti a lui rise.
"Non mi riconosci mai, Laim..." ridacchiò squotendo il capo.
Il mezz'elfo tentò di giustificarsi "Sei tu che sei abile nei travestimenti".
Subito riassunse l'aria sicura di sempre.
La mezzo-drago notò che il suo amico non era affatto cambiato dall'ultima volta.
Capelli castano rossicci e barba leggermente incolta, come al solito.
Il mantello era più consunto dell'ultima volta, ma l'armatura di cuoio del mezz'elfo era in buono stato come sempre e al fianco gli pendeva la sua fidata spada dall'impugnatura d'argento.
"Come facevi a sapere che ero qui?" chiese il mezz'elfo aggrottando le sopracciglia.
"Non lo sapevo" rispose lei, calma, stringendosi nelle spalle.
"Sei tu che sei molto fortunato, mio scapestrato amico".
Il mezz'elfo rise fra se e se.
Proprio Shalenaar l'irrequieta, dava a lui dello scapestrato.
Laim ricordò tutte le peripezie passate con quella vivace ed irascibile mezzo-drago sempre pronta a mettersi nei guai e trascinarcelo dentro, sebbene dovesse ammettere che la cosa era reciproca da parte sua.
"Vieni, ho trovato un passaggio sicuro" fece la mezzo-drago un attimo dopo, addentrandosi in un tunnel basso e scuro.
"Ci seguono" aggiunse lei, imperturbabile, avanzando con passo sicuro.
Gli occhi di drago della ragazza vedevano bene alla luce fioca, sebbene contrariamente agli occhi dei draghi puri, non potesse vedere in totale assenza di fonti di luce, ma il poco sole mattutino che filtrava attraverso le occasionali grate che davano sulla strada, era più che sufficiente per gli occhi sensibili di Shalenaar.
Il mezz'elfo annuì.
Aveva notato qualcosa di strano, e sapeva per certo che gli ostinati assassini della Corporazione non l'avrebbero lasciato in pace tanto presto, nè era stato tanto sciocco da credere che quello che l'aveva aggredito fosse solo.
"Mi chiedo come mi abbiano trovato" riflettè il mezz'elfo a voce alta "ho fatto attenzione...ho cancellato le tracce, ho..."
"Sei braccato" lo interruppe lei, volgendosi a fissarlo con i suoi begli e inquietanti occhi gialli.
Il buio aveva dilatato le pupille, normalmente verticali e ovali della giovane, facendole apparire tonde come quelle degli umani.
Per un certo verso al mezz'elfo Shalenaar ricordava un gatto, più che un drago, nonostante la pelle leggermente a scaglie e le corte corna color avorio che spiccavano dalla folta massa di capelli rossi raccolti elegantemente sulla nuca della mezzo-drago.
Non fosse stato per quei dettagli, uniti al piccolo corno che le ornava il centro della fronte, Shalenaar sarebbe apparsa una bellissima elfa agli occhi di chiunque l'avesse vista.
Nonostante l'aspetto draconico, aveva l'innata eleganza nei movimenti tipici degli elfi, nonchè i loro bei lineamenti, con il viso sottile e il mento minuto e gli occhi leggermente allungati dei draghi, il che le conferiva un'aria esotica e maliziosa.
"Quelli ti tengono d'occhio, mio caro Laim Karonth, e ti staranno dietro finche non avranno portato la tua testa al Reggente"
Il mezz'efo annuì, consapevole.
Le parole della mezzo-drago erano veritiere, e lui lo sapeva bene.
Aveva avuto a che fare varie volte con gli assassini della Corporazione.
Che il Reggente lo voleva morto per via della sua stretta connessione con i Ribelli era chiaro, meno chiaro era invece il suo legame con la Corporazione, una cosa che solo Laim stesso e pochi fidati sapevano.
Il popolo era fin troppo convinto di avere un sovrano onesto.
Solo lui e i Ribelli sapevano degli intricati giochi di potere del Reggente, il quale era il vero Re del paese.
Il Re era perlopiù la sua ignara ed inconsapevole pedina in un gioco più grande di lui e di chiunque altro.
Il Reggente era sempre stato un infido consigliere di cui era meglio non fidarsi, ma il sovrano era caduto nella rete del suo consigliere senza sospettare quanta sete di potere avesse in corpo quell'uomo scaltro e privo di scrupoli.
E così lui era stato nominato Reggente.
E da li era cominciato tutto...
Un sommesso ringhio lo riscosse dai suoi pensieri, portandolo a sobbalzare di fronte ai denti scoperti della sua amica che, con le pupille strette a fessura per l'agitazione, fissava un punto dietro di lui, in fondo alle gallerie.
"Ci hanno trovati" sibilò a denti stretti la mezzo-drago, portandosi una mano dietro la schiena ed estraendo una coppia di pugnali da lancio.
Quando "soffiava" in quel modo per un improvviso spavento, in effetti, Shalenaar gli ricordava davvero un grosso felino selvatico.
Senza attendere che i misteriosi inseguitori si facessero vivi, il mezz'elfo si acquattò nel buio estraendo la sua spada accanto all'amica dallo sguardo risoluto, che già bilanciava i pugnali sulle dita sottili.

Edited by *Stellina_90* - 20/3/2008, 15:10
 
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view post Posted on 25/2/2008, 15:04

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***



"Nival."
Il suo nome fu pronunciato seccamente, quasi come un'ordine. L'angelo vide dietro di sé un uomo alto, robusto, dalla carnagione olivastra. I capelli, neri, erano tagliati corti, a spazzola, mentre gli occhi scurissimi sembravano pozzi in cui ci si sarebbe potuti perdere, a sporgersi troppo.
In generale, il Capitano della Guardia Reale non aveva un aspetto amichevole.
Né lo era in realtà.
Dotato di una volontà di ferro e di una memoria infallibile, era particolarmente vendicativo e non sopportava di essere disobbedito, che l'ordine fosse indiretto o no. Tentare di discutere con lui poteva significare perdere la carriera, la salute e la vita.
Nivali si arrestò di scatto e si girò rapidamente, facendo poi il saluto, secondo le più rigide norme militari.
"Ho un compito per te." proferì l'altro senza rispondere al saluto.
"Poco fa qualcuno è stato ucciso vicino all'ingresso Nord delle fogne. Voglio che tu vada ad indagare."
Nival sgranò gli occhi davanti all'assurdità di quella richiesta.
"Ma..." cominciò.
"Osi disobbedire?" ringhiò l'uomo.
"No." fece l'angelo con fermezza. "Ma il Reggente mi ha convocato."
"Così come ha convocato chiunque avesse una posizione di comando nell'esercito. Non noterà la tua assenza..."
Nival restò indifferente alla frecciatina e fece un lieve cenno di assenso. Discutere era inutile.
"Come volete."
L'angelo uscì dalla sala con l'amaro in bocca. Nel cortile, fece un cenno a due soldati di passaggio e ordinò loro di seguirlo.
Scortato dagli uomini si incamminò fino alla zona dove era avvenuto l'omicidio.
Arrivarono in fretta e trovarono che già qualcun'altro era stato avvisato: due guardie stavano caricando un cadavere su un carretto, mentre una terza esaminava la zona.
"Che succede?" chiese l'angelo, con la netta impressione di essere stato fregato.
"Una feccia come tante altre." rispose la guardia annoiata.
"Teoricamente dovremmo cercare l'altro, ma se ci ha liberato da uno di loro, tanto meglio..."
Nival si avvicinò al cadavere. Un lieve segno nero su un polso lo indusse a scoprire l'intera manica sinistra del morto, rivelando un lungo tatuaggio nero.
"La Corporazione." sibilò.
Le guardie mormorarono, burbere.
"Ciò significa guai." disse una di loro.
La Corporazione era un flagello. Attaccavano e sparivano con la leggerezza e la velocità di un'ombra, lavoretti puliti che non lasciavano tracce. Nemmeno quelle complicate magie che avvertivano quando una vita veniva spenta riuscivano a fermarli.
Nival alzò lo sguardo e scrutò i paraggi. Raramente gli assassini agivano separati, e quello non aveva l'aria di essere uscito solo per una passeggiata. Lo sguardo gli cadde sul cancello di accesso alle fogne. Era semiaperto. Poteva non significare nulla, ma...
"Voi, seguitemi." disse facendo un cenno a due uomini.
Si mosse a passo svelto nel lungo tunnel delle fogne, seguito dai due uomini per nulla contenti.

***



Ombre volavano nell'ombra, sottili e affilate come rasoi, portatrici di morte.
Se Shalenaar e Laim avessero avuto un certo macabro senso dell'umorismo, avrebbero potuto trovare un onore quel tipo di attacco.
La Corporazione impiega i Coltelli Neri solo per casi di estrema difficoltà.
Quelle lame sono frutto di una lunga e difficile lavorazione. Il coltello, perfettamente bilanciato, leggerissimo e talmente affilato da poter tagliare un capello che gli cada sopra, viene intinto in un veleno letale, sigillato poi all'interno della lama con una complessa magia. L'arma così creata è in grado di uccidere anche per semplice contatto con la pelle, e il veleno è pressoché eterno.
Forse nei due si risvegliò un po' della preveggenza elfica che avevano ereditato in parte, forse furono solo fortunati: fatto sta che Shalenaar evitò il coltello indirizzato a lei per un soffio, mentre quello di Laim si piantò nel suo mantello.
"Maledizione!" imprecò il principe a voce bassa, ma la mezzo-drago gli fece cenno di tacere.
Due paia di occhi inquieti scrutarono le tenebre. Degli assassini, nessuna traccia.
Potevano essersi nascosti in una laterale, pronti a saltare fuori al momento opportuno e sferrare un attacco mortale.
"Chiudi gli occhi." sibilò Shalenaar al suo compagno.
"Eh?" fece lui, senza capire cosa lei intendesse, ma preferì obbedire.
Shalenaar si portò le mani al petto, strette a coppa. Una luce dorata prese a filtrare dalle dita, per poi farsi più forte, sempre più intensa fino a diventare un lampo accecante. A quel punto la donna separò le mani, e una luce d'oro irradiò per la galleria avvolta dalle tenebre, accecando i due assassini nascosti in quella che prima era ombra.
Poi la luce si spense, improvvisamente com'era venuta, lasciando la galleria più al buio di prima.
"Muoviamoci." soffiò tra i denti la mezzo-drago al principe.
Si volatilizzarono in una galleria laterale, lasciando gli assassini a premersi gli occhi feriti.

***



Il lampo aveva riverberato per buona parte dei tunnel. Non sfuggì a Nival e ai due con lui.
"Che è stato?" chiese una delle due guardie.
"Stiamo andando a scoprirlo." disse l'angelo mettendosi a correre.
 
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view post Posted on 28/2/2008, 17:16

à_à

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"Sei stata assolutamente fantastica. Ma che tipo di incantesimo era?"
Laim e la Mezzo-Drago stavano correndo lungo il tunnel sporco di melma, allontanandosi dagli assassini che avevano già tagliato la corda.
Portato dalle gallerie marmoree delle fogne, giunse a loro un sussurro concitato e un affrettarsi di passi rapidi.
"Dannazione"
Laim si voltò verso Shalenaar.
I suoi orecchi acuti di elfo, ereditati dalla madre avevano captato esattamente quello che gli altrettanto acuti orecchi della Mezzo-Drago erano riusciti a percepire.
Entrambi erano consci del pericolo e Liam stava già estraendo la spada.
"Vieni, Shalenaar, combatteremo per le nostre vi.."
Lei gli tappò la bocca e lo spinse a capofitto dentro un canale di scolo laterale che si rivelò essere decisamente più profondo del normale.
"Mffgh.."
Dopo alcuni attimi di panico in cui si chiese dove fosse e perché non riuscisse a respirare, la testa del Mezz'elfo affiorò dall'acqua proprio quando le guardie di Nival erano appena passate da lì. Poteva vedere ballonzolare un piccolo grumo di luce in corrispondenza della loro lanterna e vedeva brillare le sagome rossicce dei loro aloni di calore.
Fece per risalire sul lastricato delle fogne quando una mano si afferrò bruscamente al suo piede e lo tirò giù.
"Ma che.."
Si ritrovò di nuovo dentro l'acqua, con gli abiti completamente zuppi e sporchi.
Sentì la mano delicata di Shalenaar che lo tirava verso destinazioni ignote.
'Aspetta!' avrebbe voluto dirle, ma non gli rimaneva altro da fare se non fidarsi della sua amica.
Tra le guardie e l'ignoto, pensò per la seconda volta, preferisco l'ignoto.
Percorsero uno scuro qualcosa, completamente sconosciuto a lui, che pure nelle fogne aveva vissuto per un certo tempo.
Riaffiorarono in una piccola stanza che era arredata piuttosto confortevolmente.
Laim si tolse i capelli dagli occhi e si scrollò di dosso l'acqua, guardando quello che pareva essere il rifugio segreto di Shalenaar.
"Dannazione, cosa ti salta in mente?"
La donna finse di pensarci su.
"Mah, forse di salvarti la vita?"
Laim chiuse la bocca e le rivolse un sorriso contrito.
Odiava quando faceva in quel modo.
"Almeno la prossima volta avvisami."
Shalenaar lo guardò.
"Certo, e se vuoi informiamo anche la Guardia o chi per lui di dove stiamo andando e di come fare per seguirci. Comunque in quell'armadio ci sono degli abiti asciutti per te e puoi riscaldarti al fuoco se vuoi. Io intanto troverò il modo di farti entrare nel palazzo."
Laim, che stava togliendosi la maglia verde scuro, si interruppe bruscamente.
La sua voce soffocata giunse dalle pieghe del vestito ora diventato verde molto scuro a causa dell'acqua.
"Entrare nel palazzo? Ma cosa stai progettando, per gli Dèi?"
Lei sollevò lo sguardo da una mappa del castello che stava studiando e alzò gli occhi al cielo, evidentemente esasperata.
"Scusa se voglio aiutarti a riprendere il trono che ti spetta eh.. E comunque sono girata, puoi toglierteli quei pantaloni."
Laim sentì le sue guance riscaldarsi, mentre si sfilava i calzoni marrone chiaro e si infilava gli altri.
Shalenaar sorrise.
"Poi un giorno mi dirai, Shalenaar, da dove hai pescato questi pantaloni. Sono piuttosto familiari ..."

****


"Sono felice di avervi tutti qui oggi."
Il Reggente si alzò in piedi, dal suo posto alla destra del Re.
"Ma manca una persona. Elhon, Capitano della Guardia, sai dirmi dov'è il soldato, Nival?"
L'interpellato si agitò sulla sedia senza rispondere. Sapeva quanto era pericoloso mentire al Reggente.
L'espressione di quest'ultimo si fece seria e scura.
"Dove l'hai mandato, Elhon?"
Le labbra del Capitano parvero muoversi senza l'approvazione del padrone.
"L-l'ho mandato a controllare un'omicidio vicino alle porte, signore."
Il Reggente si alzò in piedi, indicando la porta.
"Vai immediatamente a recuperarlo. Muoviti."
Precipitosamente, Elhon si alzò e uscì.
Una volta fuori, maledisse il Reggente e quel suo dannato incantesimo che sopprimeva ogni volontà.
"Rende tutti quelli che sottostanno alla sua presenza dei coniglietti tremanti"
Ringhiò pieno di rancore.
"Me compreso a quanto pare. Ah ma gliela farò pagare.."
E borbottando maledizioni si diresse verso le fogne.

****


Nival si fermò.
Il corridoio gli sembrava molto familiare e una rapida occhiata alla botola che spuntava dal soffitto lo confermò.
Avevano girato intorno.
"Che quei dannati della corporazione brucino all'inferno!"
Inveì apparentemente all'aria.
Uno dei suoi soldati gli si avvicinò titubante.
"Ehm Comandante? Ci sarebbe il Capitano della Guardia qui fuori."
Nival si chiese come mai non fosse alla riunione con il Reggente, ma uscì fuori e rivolse di nuovo il saluto al suo Capitano.
"Sì, Signore?"
 
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93dabe
view post Posted on 13/3/2008, 18:38




Dannazione!
Che diavolo era?
Un lampo, un bagliore accecante aveva confuso per qualche istante, anzi, forse più di qualche istante, i due assassini. Era magia, non c'era dubbio, ma chi poteva aver lanciato una magia? Lì c'era solo il Reggente. E, cosa più preoccupante, c'era un unico significato: erano stati scoperti.
Dannazione.
Ora non ci sarebbe stato verso di uccidere il reggente, tantomeno con qualcuno in grado di usare la magia al suo fianco.
Le cose si mettevano male, molto male.
Nardh estrasse il pugnale da sotto il mantello nero, imprecando in un sussurro. Stava per scattare in avanti, quando venne fermato dalla mano pronta di Ghilendor, che in silenzio gli fece capire che, se li avevano scoperti, non era il caso di gettersi nuovamente in uno scontro, tantomeno se i Coltelli Neri avevano già fallito.
Ghilendor riflettè un attimo.
Non era conveniente cercare di attaccare di nuovo, dato che lì dietro c'era qualcuno che sapeva come evitare le tecniche della Corporazione. Sarebbe stato un suicidio.
Ma cosa poteva fare? In quel caso la soluzione più semplice era rinunciare, ma non era nel suo stile, nè tentomeno in quello di Nardh, e se fossero tornati dalla Corporazione a mani vuote, Nardh avrebbe sofferto parecchio per il fallimento della missione.
Allora?
C'era qualcosa che potevano fare?
Sembrava una via senza uscita, però effettivamente c'era qualcosa che potevano fare. Dovevano costringere i loro nemici ad uscire allo scoperto.
A gesti fece capire al fratello che doveva stare al gioco, che doveva seguire le sue mosse, se volevano uscire vivi da quella galleria.
Prese fiato e parlò:
"Nardh, vedi ancora quelli della Corporazione?" era un tono ansimante, impaurito, che non doveva tradire il reale scopo della messinscena.
"No, dopo che I Coltelli hanno fallito e che ci hanno accecato non ho più visto niente, sono spariti. Però mi sembra strano."
"Cosa?" chiese Ghilendor, ancora fingendo
"Se era gente che voleva ricatturarci poteva semplicemente contrattaccare, invece sono spariti" osservò Nardh
"Già" fu il commento pensieroso di Ghilendor
Chissà come avrebbero reagito i loro avversari. A questo punto potevano optare solo per la via della diplomazia e, soprattutto, della Finzione.

***



Dal loro nascondiglio, Shalenaar udì il discorso, così come fu udito dal Reggente.
C'era qualcosa che non quadrava. Perchè i due assassini avrebbero dovuto essere così spaventati e chiedersi se erano persone della Corporazione.
Qualcosa non andava, non erano semplici assassini.
Il medesimo pensiero attraversò le menti del Reggente e della compagna: erano fuggiaschi!

***



"Il Re vuole anche te"
La voce del Capitano era dura, quasi seccata, anche se Nival non ne vedeva motivo.
Appena uscito dalla galleria, si era ritrovato il Capitano davanti, che l'aveva avvisato con fare alquanto seccato della sua presenza richiesta nella Sala, dove il re aspettava.
"Capitano...ma avete detto..." tentò di obbiettare l'angelo
"Ciò che ho detto, l'ho detot prima e non ora, quindi non vedo motivo di discuterne, se non in separata sede, quando sua maestà avrà finito di chiamarti per fare i suoi comodi"
Calcando sule parole "sua maestà", il Capitano aveva usato un tono che come al solito, non ammetteva repliche.
Nival sospirò, congedò le guardie e si avviò verso la Sala.
 
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*Stellina_90*
view post Posted on 17/3/2008, 01:13




I due assassini sorrisero, complici, guardandosi negli occhi.
Chissà come avrebbero reagito i due furbi fuggiaschi.
Ma i fratelli sapevano anche che dovevano stare attenti.
Qualcuno sapeva usare la magia, una cosa poco comune da quelle parti, poichè il Re, di certo sotto il malefico influsso del Reggente, aveva proclamato l'uso della magia da parte dei comuni cittadini rischioso e pericoloso, perciò illegale.
Gli unici che potevano studiare la magia erano i nobili e i sacerdoti.
Strano...tutta gente importante e di alto grado.
Quindi questo significava che il principe era alleato con un nobile.
Ma questo era impossibile, perchè i nobili erano tutti sotto il ferreo controllo del Reggente.
Alla Corporazione si sapeva da tempo come girassero le cose a palazzo.
Il Re era ufficilamente l'amato sovrano Theomund, ma le cose erano cambiate da quando al potere era salito il Reggente, l'ex consigliere traditore che stringeva nel suo pugno guantato d'acciaio il Re con le sue malìe.
Che il Reggente si intendesse, parecchio anche, di magia non era una novità per la Corporazione.
A dire il vero c'era ben poco che la Corporazione non sapesse.
Ad esempio la Corporazione sapeva di Laim, unico figlio di Re Theomund, di cui il sovrano stesso, sempre grazie al Reggente, non ricordava nulla e anzi, lo voleva morto perchè era un ribelle e un possibile usurpatore del trono.
Il sovrano era ormai solo una facciata.
La facciata di cui il Reggente aveva bisogno per mascherare la sua immorale condotta.
Sebbene egli facesse credere a tutti che aveva tale titolo perchè il Re malato glielo avesse concesso appositamente, intratteneva invece pericolose relazioni con la Corporazione stessa.
E i due fratelli sospettavano che fosse proprio per ordine del Reggente che dovevano eliminare Laim.
In fondo all'Arcimago Thazaar Alharuun Kherahyd che cosa poteva mai importare di un semplice bandito, ex principe decaduto e dimenticato perfino dal suo stesso padre, un semplicissimo uomo comune, un signor nessuno senza arte nè parte?
Era ovvio ed evidente che c'era lo zampino del Reggente.
Chissà cosa avrà offerto in cambio...
L'Arcimago non era tipo da scomodarsi per cose da poco, e se aveva mandato loro due, che erano fra i migliori nella Corporazione, e gli aveva pergiunta affidato i preziosi Coltelli Neri, la cosa doveva essere grossa.
Senza farsi troppe domande i due fratelli sgusciarono accanto ai loro preziosi coltelli e li recuperarono con le mani protette da speciali guanti incantati da Thazaar stesso.
Eh si, al Capo piaceva lasciare il minimo margine d'errore possibile.
Non aveva molta fiducia nei suoi apprendisti, e preferiva affidare alle sue truppe speciali oggetti magici creati da lui stesso, e non da maldestri adepti le cui creazioni potevano fallire o peggio.
Se i due si fossero presentati a mani vuote e senza i Coltelli, l'Arcimago gliel avrebbe fatta pagare...e Thazaar Alharuun Kherayd non era certo famoso per la sua magnanimità o per la sua pietà.
Un brivido percorse la schiena dei due assassini al pensiero di ciò che l'Arcimago avrebbe fatto loro se avessero fallito.

***


L'uomo sul suo bel trono scosse la testa.
"Andiamo male miei cari Nardh e Ghilendor" sussurò, calmo, l'Arcimago avvolto nelle sue belle vesti rosse ricamate d'oro, all'immagine dei due assassini nella buia fogna, riflessa in una polla d'acqua per la divinazione.
Eh si, gli oggetti magici da lui creati erano un ottimo legame tra i loro portatori e l'elegante bacinella magica d'argento piena d'acqua che era solito usare per spiare l'operato dei suoi scagnozzi ed eventuali nemici della Corporazione.
Mosse una mano sull'acqua e quella si increspo', tornando ad essere solo semplice acqua in una bacinella d'argento finemente cesellata.
Draghi.
Draghi dall'aria malvagia e temibile.
L'Arcimago adorava la decorazione di quel prezioso recipiente.
Erano fra i suoi soggetti preferiti, assieme ai suoi adorati felini.
Non era un caso che la Corporazione, e soprattutto la sua camera, fosse piena di statue e ogni sorta di decorazione che richiamasse l'immagine di un drago o di un leone feroce.
"Se quei due sciocchi falliscono, credo che il tuo stomaco si riempirà presto delle carni di quei due Kharazaath" disse l'Arcimago con tono suadente verso la chimerica creatura stesa sul bel tappeto rosso dai bordi d'oro.
Era la creatura preferita dell'Arcimago.
"Vieni qui, mio dolce tesoro" lo invitò l'Arcimago, protendendo una mano aperta verso il mostruoso essere, che si alzò e si avvicinò con la sua andatura elegente e regale, abbassando la testa sotto la mano dell'Arcimago ricevendo la carezza come avrebbe fatto un gatto che si struscia con la testa sotto il palmo della mano del suo padrone.
Ma la creatura chiamata Kharazaat non era affatto un tenero gattino.
Kharazaat era frutto della terribile unione del sangue di un drago e di un leone, un essere generato dall'Arcimago con la sua magia.
Il grande leone era più grande, forte e possente di un orso, con una splendida pelliccia color sabbia e una superba e lunga criniera fulva.
Ma le somiglianze con un leone troppo cresciuto finivano li.
Kharazaat aveva protuberanze ossee che protundevano dai gomiti e le caviglie, crudeli aculei affilati lungo tutta la schiena e due lunghe corna nere e lucide che partivano da dietro le orecchie della terribile creatura dagli occhi color smeraldo, anzichè del consueto nocciola dorato dei leoni.
L'Arcimago sorrise, carezzando deliziato la sua creatura.
Che quegli stolti finissero in bocca a Kharazaat se non erano capaci di portare a termine il loro compito.

***


"Shalenaar, avanti!"
"Ho detto di no!" ringhiò lei di rimando
Il mezz'elfo era esasperato.
"Ma perchè? suvvia, non vuoi creder loro?"
"Affatto" fu la secca risposta della mezzo-drago, sua amica.
"Potremmo andare almeno a vedere, non sappiamo se sono veramente della Corporazione, hai sentito cosa dicevano?"
Laim alzò gli occhi al cielo, esasperato, quando Shalenaar, per tutta risposta, lo fissò scettica, inarcando un unico sopracciglio sottile, con un sorrisetto beffardo sul bel volto delicato.
"Certo che non sono assassini della Corporazione, Laim" fece sarcastica "tutti vanno in giro con i Coltelli Neri oggigiorno, sono articoli facilmente reperibili per poche monete d'argento in ogni bancarella del Mercato"
Il mezz'elfo aprì la bocca per replicare alla vista dell'espressione insolente della giovane, ma dovette ammettere che in quella storia c'erano effettivamente parecchie incongruenze.
"Vuoi che qualche zanzara ci salti dentro?" lo schernì l'irriverente mezzo-drago, posando un dito sotto la mascella del mezz'elfo, e chiudendogli la bocca che aveva lasciata semiaperta, mentre pensava bene a cosa rispondere o se non rispondere affatto.
"Quindi cosa proponi di fare? se sono chi dici non tarderanno a trovarci"
La mezzo-drago sembrò rifletterci su.
L'espressione concentrata, un dito sottile poggiato sul mento e gli occhi socchiusi, fissi a terra.
"Se ci trovassero..." cominciò "temo proprio che dovremmo cambiare nascondiglio, amico mio, e sbarazzarci di loro"
Cambiò posizione, stavolta, soffermandosi sul volto dell'amico in attesa di una risposta.
"Se hanno i Coltelli non sono gente qualunque" riflettè lui "quindi saranno di sicuro avversari formidabili, e cosa fondamentale, determinati"
La mezzo-drago annuì, cupa in volto.
"L'Arcimago Thazaar non è famoso per la sua bontà di cuore" assentì "e nessuno sano di mente si sognerebbe mai di presentarsi al suo cospetto senza aver soddisfatto le sue aspettative"
I due amici rimasero a lungo in silenzio, mentre la mezzo-drago si tormentava le ampie maniche della sua veste vermiglia, com'era solita fare quando era nervosa.

Edited by *Stellina_90* - 19/3/2008, 21:12
 
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view post Posted on 19/3/2008, 23:03

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"Nival, prego. Stavamo aspettando te."
La voce sembrò echeggiare nell'immensa sala mentre un centinaio di teste si voltava a guardare l'ingresso dell'angelo.
C'erano tutti. Uomini per la maggior parte, ma anche mezz'elfi, pochi elfi puri, alcuni demoni e pochi altri angeli.
La disciplina ferrea che vigeva nell'esercito impediva ad angeli e demoni di saltarsi alla gola come avrebbero voluto, e gli incantesimi del reggente facevano il resto. Le due razze erano costrette a collaborare, anche se ogni parola e ogni movimento trasudava disprezzo e odio.
Gli angeli erano disposti, quasi schierati, ad un lato del lungo tavolo, opposto all'ingresso. I demoni stavano dall'altra parte, dunque davano la schiena a Nival e lui avrebbe dovuto passar loro vicino per raggiungere i suoi compagni.
Irrigidì involontariamente i muscoli mentre gli occhi dei suoi nemici giurati lo scrutavano truci al passaggio. I pugni gli si strinsero involontariamente e si conficcò le unghie nella carne.
Poi passò, superò quella zona e arrivò dai suoi. Si rilassò mentre prendeva posto.
"Ho voluto che ci foste tutti," riprese il Reggente, "perché quello che voglio dirvi è di primaria importanza."
L'uomo era in piedi e sembrava sfolgorare nelle sue vesti candide orlate d'oro. Un lungo mantello nero gli cadeva morbidamente lungo la schiena e le spalle, delineando il netto contorno di un uomo massiccio, altissimo. Li sovrastava tutti, uomini ed elfi, angeli e demoni.
"È con dolore che vi dico questo, perché io ed il Re vogliamo solo la pace nel regno."
I suoi occhi azzurro ghiaccio parvero scintillare mentre dardeggiavano sui presenti. Nessuno era a proprio agio.
"Perché anche nei meccanismi più perfetti si insinua l'errore," continuò mentre cominciava a camminare lungo la tavola.
"Anche i frutti più perfetti prima o poi marciscono."
Un brivido percorse le schiene dei presenti, senza apparente motivo.
"La ribellione serpeggia. Si insinua. Mina le fondamenta della pace."
Ad ognuno pareva di essere fissato singolarmente negli occhi. A tutti sembrava di essere messi totalmente a nudo, incapaci di pensare qualsiasi cosa senza che lui lo sapesse.
"È un cancro che rode il regno. E come tale, va estirpato."
Il silenzio tra le sue parole sembrava durare ere intere, benché continuasse a parlare.
"Distrutto. Spazzato via."
Ormai tutti erano caduti nella malìa di quella voce suadente.
"Il Re se ne addolora, vorrebbe che tutto questo finisse. Io stesso lo desidero, ma siamo giunti alla conclusione che la maniera più rapida sia annientare i ribelli."
Non un suono tra le sue parole.
"Vi assicuro che stiamo usando tutti i mezzi a nostra disposizione."
Non un battito di ciglia.
"Tutti."
Il tempo si era fermato.
"Tutti."
Nulla.
"E voi, amici miei, davvero siete così sciocchi da aver potuto sperare di cavarvela?"
Il tempo riprese bruscamente a scorrere mentre le guardie facevano irruzione dalle molte porte della sala e si lanciavano su alcuni dei presenti. Ci furono urla, clangore di lame e metallo, di carne contro metallo, ossa rotte, esplosioni; una nube di polvere si alzò come un fungo da terra mentre il mondo sembrava crollare e spezzarsi sotto la spinta inarrestabile di qualcosa che stava distruggendo tutto...
Poi più nulla. Improvvisamente com'era successo, era scomparso.
Nival si ritrovò riverso a terra, impolverato, sporco di sangue non suo; alla sua destra un angelo giaceva con la gola squarciata, un altro due posti più in là con il petto aperto da un colpo di lancia. Ovunque nella sala cadaveri, e polvere: qualcosa era esploso, qualcuno aveva reagito ed era stato spazzato via.
L'angelo si aggrappò alla sedia caduta e riuscì a rimettersi in piedi; le tempie gli pulsavano dolorosamente.
Contò almeno venticinque caduti, più alcune guardie; molti li conosceva solo di vista, altri non li conosceva proprio ma su alcuni di loro (e nemmeno su tutti) circolavano strane voci di ribellione e tradimento.
Il pavimento di marmo era spaccato in più punti, le tavole divelte e polverizzate più o meno ovunque.
"Questa è la fine dei ribelli."
Il reggente era ancora in piedi, pulito, mentre i vivi si sollevavano a fatica.
"Il mio potere è troppo grande. Ora sapete cosa significa sfidarlo."
Molti corpi erano stati straziati. Alcuni che Nival conosceva come maghi erano morti mentre recitavano le formule che li avrebbero salvati, le gole squarciate di netto.
"Chi si oppone non merita pietà."
Alcune lance spuntavano ancora piantate nei cadaveri, come alberi senza rami.
"Ma voi, che meritate fedeltà, potete unirvi a me nel distruggere la cancrena che appesta questo posto."
Il grande tavolo di quercia era stato bruciato e rotto in più punti, alcune armi erano piantate sul liscio ripiano. Lo scontro era stato duro, rapido e cruento, ma Nival (e con lui molti altri) era svenuto, oppresso da qualcosa che avanzava implacabile; un assalto mentale, come capì in seguito, che il Reggente stesso aveva condotto facendo crollare molti al suolo, uccidendone altri.
I vivi, una settantina, si guardavano intorno sgomenti, persi in quella distruzione. Alcuni gettavano occhiate ai compagni morti, ma nulla di più, per paura di rappresaglie da parte del Reggente.
"Chi è morto oggi faceva parte dei ribelli. Chi è morto oggi ha tradito la sua patria e i suoi compagni."
Ognuno di loro si voltò di scatto verso il Reggente, gli sguardi attirati di colpo da lui.
"Ma voi, nobili comandanti dell'esercito, voi no. Voi siete fedeli e alleati, voi temete i tradimenti come chiunque altro e li punite giustamente. La vostra fedeltà al Re viene giustamente ricompensata e il vostro ardore nel far rispettare le leggi è ammirevole."
La voce si era fatta carezzevole, suadente, e ciascuno riconobbe sé stesso nelle parole del Reggente.
"Voi ed io siamo coloro che riporteranno l'ordine in questo regno corrotto dall'avanzare dei ribelli. Essi vogliono solo la distruzione di ogni regola, e noi glielo impediremo."
La malìa si era fatta così ipnotica che nessuno pensava più ai compagni caduti, ma solo a quello che stava dicendo quell'uomo.
"Voi, ed io, porteremo la pace. E questa pace va approntata con i metodi più rigidi ed inflessibili."
L'aria stessa parve tremare.
"Chiunque dei vostri uomini mi porti la testa di un ribelle riceverà in cambio cento monete d'oro. Chiunque nutra, dia protezione o protegga in ogni modo un ribelle verrà ucciso, la sua famiglia massacrata e la sua ricchezza confiscata. Chiunque consegni informazioni sui ribelli otterrà in cambio cinquanta monete d'oro. Chiunque venga sorpreso in possesso di informazioni riguardanti i ribelli non dichiarate verrà ucciso."
I suoi occhi di ghiaccio parevano fiammeggiare, e tutti ne erano attratti.
"Dichiaro lo stato d'allerta. Vige il coprifuoco la notte, chiunque lo vìoli verrà imprigionato. I vostri uomini pattuglieranno le strade, fermando chiunque sia sospetto."
Il silenzio cadde sulla sala. Persino la polvere si era posata.
"Avete carta bianca per stanare quei ratti e massacrarli, signori."
Poi il reggente girò sui tacchi e lasciò la sala.

***



"Shalenaar..."
"Ssst!"
Il sibilo della mezzo-drago bloccò sul nascere le parole di Laim. Aveva sentito qualcosa.
Ma nulla più turbò il silenzio. I due erano immobili, statue.
Poi Shalenaar spense con un soffio l'unica torcia che rischiarava la stanza.
La mezzo-drago afferrò la mano del principe mentre il buio calava secco come un colpo di mannaia, guidandolo nel buio. Ma nemmeno lei ci vedeva benissimo, nell'oscurità totale.
Proseguirono, stretti, nel nero opprimente. Infine Laim non si trattenne più:
"Shalenaar, si può sapere cosa...?"

Era stato appena un sibilo, ma non sfuggì alle orecchie attente di due assassini determinati da una parte e terrorizzati in caso di fallimento dall'altra.
I due si mossero leggeri come ombre, seguendo la scia di sussurri.

"Taci!" sibilò in risposta la donna.
"Che hai intenzione di fare? E se quei due..."
"Ti ho detto di stare zitto! Non possiamo fidarci, nelle condizioni in cui siamo, non con..."

Gli assassini erano abili nell'affidarsi ad altri sensi piuttosto che alla vista. Nonostante l'olfatto fosse annullato dal penetrante odore di fogna, l'udito era abbastanza acuto, specie a captare le 's' sibilanti di Shalenaar.

"Ma, rifletti, potrebbero essere amici!"
"Non m'importa! Se ci sbagliamo siamo morti, Laim!"
"Ma Sha..."

Come raffiche di vento, le voci rimbombavano a tratti sulle pareti di pietra, per poi svanire e ricomparire da tutt'altra parte. Ma gli assassini avanzavano, fiduciosi.

"...e se non..."
"...a ti rendi conto..."

Ancora, e ancora, e ancora.

"...u non rifletti... Stiamo rischiando la vita..."

Voci nel buio.

"... il regno, la liber.."

Sussurri nella notte.

"...intero popolo..."

Come uccelli invisibili nella nebbia.

"...ostro mondo!"
Ondo, ondo, ondo!
E, in quell'istante, una delle mattonelle di pietra che componevano il pavimento scricchiolò chiaramente sotto ai piedi di uno dei due assassini, che rimase immobile nell'oscurità accanto al compagno, all'inizio del corridoio di cui Laim e Shalenaar erano a metà.
 
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view post Posted on 22/3/2008, 21:42

à_à

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*Criiiik*

Una vibrazione acuta nell'aria appesantita dall'oscurità delle fogne.
Un suono chiaro, distinguibile, netto, che arrivò alle orecchie acute del principe.
Nel momento esatto in cui il principe sentì quel suono, si girò di scatto, estraendo con un movimento fluido la spada, ponendosi di fronte alla sua compagna.
Uno dei due assassini avanzò verso di loro.

"Amici!"

Esordì quello allargando le mani nell'oscurità.

"Io e il mio compagno siamo felici di aver trovato altri esseri viventi più intelligenti dei topi che abitano qui!"

Continuò ad avanzare, seguito dall'amico.
Laim non accennò ad abbassare la spada. Senza muoversi di un millimetro, impartì l'ordine che ogni persona ha dovuto rispettare almeno una volta nella vita.

"Identificatevi."

L'uomo si fermò a una manciata di passi da Liam e Shalenaar, alzando le mani.

"L'ho appena detto, il mio amico e io siamo scesi nelle fogne a cercare una cosa e ci siamo persi. Siamo felici di aver incontrato altre persone come noi."

Shalenaar diede un colpo secco alla schiena del principe.

"Non fare sciocchezze! Non fidarti, non sono amici!"

Rapidamente, il principe esaminò le forze che si stavano dando battaglia nel suo animo.
Da una parte c'era l'ardente desiderio di incontrare degli amici, acuito dal fatto che si trovavano in un'oscura e fetida fogna.
Dall'altra c'era la netta evidenza che fidarsi di due persone sconosciute in un'oscura e fetida fogna era una pura e semplice follia.
E bisognava anche tener conto che andava fuori da ogni logica opporre una sensazione al giudizio di un'amica.

"Siamo anche noi felici di incontrare gente simile a noi. Però questi sono tempi duri, di diffidenza e tradimento. Saremmo più contenti se ognuno andasse per la propria strada..."

Dietro di sè, il principe sentì Shalenaar mormorare parole arcane.

"... Quindi andat..."

Non fece in tempo a finire la frase che avvertì l'energia dello scudo di Shalenaar balenare nell'aria, mentre una barriera di energia magica si ergeva tra lui e il dardo avvelenato che si stava dirigendo verso il suo collo.
Liam si gettò in avanti, oltrepassando la barriera della maga, che si disperse al suo passaggio, mentre Shalenaar prendeva una pallina di guano di pipistrello dalla sacca che portava alla cintura.

****


Nival lasciò la sala come stordito.
Senza neanche pensare, si avviò verso il viale che portava alla sua casa, mentre nella sua mente si affollavano vari pensieri.
Possibile che il reggente, la persona che era universalmente creduta la più buona e retta della città.
E in effetti, nella sala delle udienze era veramente così.
Ma quel giorno era stato come un martello che aveva distrutto la perfetta immagine che Nival aveva del reggente.
Entrato nella sua camera, si sedette sul letto e si prese la testa fra le mani in preda a sentimenti contrastanti.
Da una parte, pensava che il reggente aveva fatto molto bene a punire i traditori e i ribelli.
Ma dall'altra, non poteva accettare un gesto di efferata crudeltà qual'era stato quello di uccidere un gran numero di persone, quando solo parte di esse era accusata di tradimento.
Mentre nella sua testa imperversava il caos, una persona entrò nella camera dell'angelo.
Una bellissima e avvenente donna dalle ali piumate.

"Nival."
 
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93dabe
view post Posted on 9/4/2008, 13:30




Maledetto Narhd!
Dannazione a lui e al suo dannato impeto istintivo di attaccare ogni singola cosa che si muoveva. Non poteva per una volta starsene fermo, invece di rovinare tutti i piani come al solito?
Alzò gli occhi al cielo e si buttò a terra, trascinando con sè il fratello nella caduta e facendo ricorso alla magia elfica che per metà scorreva in lui.
Alle loro spalle comparve un'altra figura ammantata di nero; dalla sua posizione si poteva scambiare per l'autore del gesto omicida. La figura guardò Naim e la sua compagna con occhi inniettati di sangue, poi si dileguò nell' oscurità.
Per questa volta era andata.
Lanciò un'occhiataccia al fratello, che non rispose.
Sperava solo che non tentasse altre azioni avventate, dovevano conquistarsi il principe o di lì non sarebbero usciti vivi dalle fogne.
Da qualche parte, dietro di loro, un topo squittì nell'oscurità.

***



Dannazione!
Dannazione al re a alle sue solite smanie di potere e di ordine e di massacri e tutto quello che poteva entrare in quella testa bacata!
Carta bianca per stanare i ratti?!
Massacrarli?!
Ma si sentiva quando parlava? Ora come ora poteva benissimo sembrare il Capo della Corporazione, L'Arcimago, quello col nome complesso che non riusciva a ricordare.
In una sola occasione aveva avuto l'onere di sostenere una conversazione con lui e non era fremente di ripetere l'esperienza.
Non l'avrebe retta.
Così come non avrebbe retto lo sguardo di pietra di quell'orribile animale che si porava appresso, quella sottospecie di leone squamato troppo cresciuto.
Uscì dal castello ed attraversò di fretta il cortile, diretto alla guarnigione, davanti alla quale le due guardie appostata davanti alla porta lo salutarono e lo lasciarono passare.
Entrò nei suoi alloggì sbattendo la porta, come se quel gesto potesse sfogare l'Ira che gli bruciava dentro.
Il Re doveva pagare.
O rinsaviva, o avrebbe dovuto sistemare le cose con le sue stesse mani.
 
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*Stellina_90*
view post Posted on 20/4/2008, 17:03




Laim si rialzò da terra a spada tratta, ma si trovò davanti un figuro incappucciato dallo sguardo folle che corse via prima che lui potesse fare qualsiasi cosa, anzichè i due inseguitori, che sembravano aver lanciato un pugnale verso la sua gola.
Si rialzò di scatto, mettendosi in guardia, mentre, dietro di lui, una mezzo-drago dalle pupille dilatate e i nervi a fior di pelle, scrutava nervosamente le ombre come se si aspettasse che quelle diventassero improvvisamente vive e pronte a divorarli entrambi.

Ma che ti è saltato in mente?
Significava questo, in sostanza, il frenetico gesticolare di Ghilendor, che fissava il fratello con un ringhio mentre questi si massaggiava la spalla e lo fissava di rimando con un'aria ferita da cane bastonato.
Scusami, fratello, rispose Narhd, nel medesimo codice silenzioso, il Linguaggio Silenzioso degli Assassini, una delle tante, inesauribili, risorse della Corporazione.
Ghilendor gli impedì di proseguire, mettendolo a tacere con un secco e brusco cenno della mano.
Narhd capì di averla fatta grossa.
Di solito suo fratello non si arrabbiava facilmente...in special modo con lui.
Ti atterrai ai piani, senza prenderti iniziative tue?
I gesti bruschi, lo sguardo duro.
Narhd chinò il capo e assentì, capendo che non era il caso di continuare a mettere i bastoni fra le ruote a Ghilendor, e che la sua frettolosità nel concludere quello spiacevole incarico non li avrebbe portati più lontano delle fauci di un'orrenda bestia per metà drago e per metà leone che trascorreva il tempo, quando non divorava traditori e assassini inconcludenti, a sonnecchiare tranquilla sul bel tappeto nelle camere dell'Arcimago, o leccando le mani al padrone come un innocuo animale domestico normale.
Il pensiero era sufficientemente repellente da far passare a Narhd la voglia di cedere all'istinto e agli impulsi.
Non ricordava esattamente come l'Arcimago avesse chiamato la bestia, quando, una volta, trovandosi a colloquio con lui, l'Arcimago aveva richiamato il leone-drago, che era silenziosamente scivolato dietro le spalle di lui e suo fratello, ed era andato a sistemarsi accanto al padrone.
La silenziosità del passo di quella bestia lo terrorizzava.
Nonostante la stazza, potevi trovartela dietro in un attimo senza nemmeno accorgertene.
Quest'idea non era mai piaciuta ne a Narhd ne tantomeno a Ghilendor, quindi meglio evitare di dare all'Arcimago un buon motivo per spingerceli dentro.
Ghilendor, intanto, che non voleva assolutamente perdersi il principe nei meandri della buia fogna, cominciò subito la sua messinscena.
"Aiuto, qualcuno mi aiuti, mio fratello è ferito!"
Narhd lo fissò stranito, che diamine stava farneticando il mezz'elfo? lui era tutto intero e stava benissimo!
Ma, quando sollevò le mani per spiegarglielo, Ghilendor, per tutta risposta, lo agguantò per una spalla costringendolo a terra.
Nahrd, che a quel gesto capì cosa suo fratello si fosse appena fatto venire in mente, gli rivolse solo un sordo grugnito e un'espressione annoiata da bambino capriccioso che chiede perchè a nascondino tocchi sempre a lui contare, e si lasciò spingere giù.
Si strappò un lato del pantalone con un pugnale e incise la pelle, in modo da far uscire abbastanza sangue da creare un alone scuro abbastanza evidente e, soprattutto, abbastanza credibile.
Si strinse la ferita con entrambe le mani e cominciò a gemere e lamentarsi.
"Aiutami fratello, perdo sangue!"
Ghilendor si portò le mani ai capelli, eseguendo alla perfezione la mascherata del fratello preoccupato per il povero fratellino ferito.
"Oh cielo, Narhd, la tua gamba! Ti prego, resisti, ti salverò!"
"Morirò dissanguato!" gridò lui, di rimando, con voce talmente angosciata da far stringere il cuore a chiunque non avesse conosciuto realmente quei due farabutti dalla spiccata dote recitativa.
"No, no, ti prego! Non dire così, ti salverò, cercherò aiuto! Aiutatemi, vi prego! se ci siete ancora aiutatemi, per favore"

Laim stringeva i denti più forte che poteva.
Le sue mascelle erano serrate al punto da dolere.
"Shalenaar..."
Ma prima che potesse aggiungere altro, la mezzo-drago annientò ogni sua iniziativa con un perentorio "no", di quelli detti con il tono di chi non ammette repliche.
Il mezz'elfo la fissò insieme sconcertato e sconvolto.
Era pallido, non aveva quasi più colore in volto.
"Laim, mentono..."
"Ma Shalenaar..." protestò lui esasperato, sbracciandosi quasi esageratamente.
"Non senti quel povero fratello? ha bisogno d'aiuto, non senti com'è disperato?"
L'espressione dell'amica, però, rimase un'impassibile maschera di pietra.
Dura, inflessibile, imperscrutabile.
"So che ti fa soffrire, Laim" disse con voce dolce, quasi non sembrava il rigido automa di un attimo fa.
Laim era forse troppo altruista, al punto da scadere, a volte, nell'ingenuità.
Ma non era certo con divieti secchi e duri, da madre severa, che lo avrebbe aiutato a capire.
Rilassò le membra e addolcì la terribile espressione del suo viso.
"Ma devi capire che gli assassini della Corporazione non sono degli sprovveduti, e che tu sei il principe e non puoi fidarti di chiunque, perchè il Reggente e tutti coloro che collaborano con lui, ovvero tutti, eccetto forse il popolo, ti vogliono morto. Lo capisci questo?"
Il mezz'elfo contrasse i bei lineamenti all'ennesimo urlo di dolore di Nahrd e all'inevitabile disperazione dell'abile ed astuto Ghilendor.
Il principe teneva i pugni stretti, le braccia rigidamente parallele ai fianchi.
La mezzo-drago si avvicinò a lui, con la mano tesa.
"Andiamo" sussurrò la sua dolce voce all'orecchio di Laim, mentre lei lo tirava delicatamente via per un braccio.
Il mezz'elfo rilassò la sua postura e poggiò la mano su quella della mezzo-drago con fare conciliante e uno sguardo velato di tristezza e compassione.
Shalenaar capì.
Laim era riuscito a resistere al tranello dei due grazie a lei e la stava tacitamente ringraziando, ma il suo cuore doleva.
Lasciare due poveretti in una fetida fogna, anche due meschini assassini della Corporazione, non era un'azione nel suo stile.
La mezzo-drago diede una stretta al suo braccio, incitandolo a proseguire, a non fermrsi, a non cedere, a vedere al di là dell'illusione intessuta dai due scaltri sicari.
"Coraggio"
E il suo sorriso riuscì a far tornare un po' di colore e di felicità sul volto dell'amico.

***


La figura avanzò furibonda, senza degnare di un solo sguardo le guardie che l'avevano gentilmente salutata.
Migliaia di pensieri rabbiosi le ruggivano nella mente, facendole quasi perdere la concentrazione su ciò che stava facendo.
Tornò indietro con uno stizzito scatto dei piedi che solo il suo perfetto senso dell'equilibrio le impedì di non incastrare tra loro, con il rischio di farla cadere, e si ritrovò nuovamente davanti alle guardie, che stavolta la fermarono.
"Milady, siete ferita, permettemi di..."
Ma lei allontanò le braccia tese dell'uomo con un gesto rabbioso.
"Sto bene!" ringhiò, scomparendo oltre la scala a chiocciola.

Nival stava pazientemente fasciando le sue ferite.
Tamponava i tagli con acqua tiepida per poi cospargere di unguenti le bende ed avvolgerle intorno al suo corpo.
Niente di grave, ma i tagli che aveva alle braccia e alle gambe, più qualcuno sulla schiena e qualche graffietto da nulla sul petto e l'addome, erano abbastanza profondi.
Quanto bastava a far male e bruciare.
Si sentiva tutta la pelle intorno alle ferite tirare, facendole bruciare.
Era proprio una spiacevole sensazione.
Finì giusto un attimo prima che, messosi a sedere sul letto per riflettere sugli ultimi avvenimenti, la porta della sua stanza si aprisse.
Alzò di scatto la testa con aria imbronciata per protestare contro il molestatore che non si preoccupava di bussare per avere udienza, quando una voce limpida e melodiosa gli riempì le orecchie del suo stesso nome.
"Nival"
L'angelo rimase come imbambolato, mentre i suoi tratti si distendevano beati alla vista di quella meravigliosa creatura.
"Ayleen", mormorò lui, come in trance, e un'espressione più che trasognata.
Ma quando lei si richiuse la porta alle spalle, il cuore dell'angelo ebbe un sussulto.
Nival si sentì quasi morire alla vista della bellissima Ayleen con i bordi della candida veste stracciati e macchiati di sangue e polvere.
Le candide ali striate di rosso, che si lasciavano dietro una scia di piume imbrattate di sangue scarlatto, un taglio sulla sua bella fronte e i bei capelli biondi, ondulati, del colore del grano, che cadevano scomposti sulle sue spalle fino alla vita.
"Oh cielo, Ayleen" esclamò Nival, prendendo le bende.
"Siediti, ti prego"
Lei annuì e si sedette sul bordo del letto.
L'angelo, intanto, terribilmente preoccupato per la salute di lei, era già all'opera con l'acqua calda e gli unguenti.
Più tardi, dopo aver arrestato le diverse perdite di sangue e aver messo a posto bende e acqua calda, si sedette accanto a lei.
"Come stai adesso?", le chiese piano, sfiorandole il viso con una carezza.
Ma si bloccò alla vista del viso di lei.
Aveva una strana luce negli occhi.
Nival trasalì a quella vista.
"Ayleen, che cos'hai? sei strana..."
"Hai visto cos'ha fatto?" sbottò però lei, con le mani strette a pugno sulle ginocchia.
Nival si accigliò, ricomponendosi.
"Il Reggente" e la parola fece trasalire nuovamente l'angelo, spalancandogli gli occhi color ghiaccio.
Il Reggente?
Si riferiva forse all'avvenimento di quel tragico pomeriggio?
Quel pomeriggio che aveva dato così tanti crucci persino alla sua mente rigida e ligia al dovere?
"Ti rendi conto? un cancro che rode il regno...va estirpato...distrutto...spazzato via....così ha detto"
Le mani si strinsero e la voce si incrinò, ma lei continuò imperterrita, tremando per la rabbia, mentre Nival rimaneva immobile, rigido, a fissarla sconvolto.
"Dopo quell'elsplosione..." deglutì vistosamente "il Reggente ha detto che chi si oppone non merità pietà"
"Ayleen" la riprese Nival, severo, stanco di quei discorsi, di quelle insinuazioni, ma lei gli si rivoltò contro, rabbiosa.
"Carta bianca per stanare i ratti!" gridò a voce tanto alta da far rimbalzare le parole da una parete all'altra della stanza.
"Così ha detto!"
Sembrava una belva.
Un animale furioso e spaventato.
Gli occhi, di un azzurro simile a quello del terso cielo estivo, erano diventati di ghiaccio.
"Quell'uomo considera gli altri suoi simili come animali, delle bestie...chi non va a genio a vossignoria deve morire!"
La donna si torceva nervosamente le dita tra di loro, fremendo di rabbia qer la persona sconsiderata che era il Reggente.
Quello che lei, fino a quel giorno, aveva creduto un eroe.
Nival era sconvolto.
Non sapeva cosa pensare.
nche lui aveva avuto dei dubbi, ma lui aveva capito.
C'erano delle spiegazioni.
Non era tutto lasciato al caso.
Il Reggente non era un animale.
Ma adesso i suoi pensieri andavano altrove.
Aveva paura, solo paura.
Una tremenda paura.
"Ayleen, abbassa la voce, ti prego" la supplicò, prendendole le mani e costringendola a calmarsi.
"Perchè continui a non vedere, Nival?" piagnucolò lei, esasperata, scossa da tremiti, con gli occhi lucidi di pianto, di rabbia e di dolore.
Nival la trinse forte, cercando di rassicurare lei e se stesso.
Non poteva permettere che Ayleen si facesse strane idee.
Non poteva permettere che passasse per una ribelle e venisse processata.
La staccò da se dolcemente, prendendole la testa fra le mani.
"Ayleen, hai frainteso" le disse fissandola dritto negli occhi, con voce ferma, non dandole modo di dubitare delle sue parole.
"Il Reggente si è espresso in certi termini perchè è preoccupato per tutto ciò che sta accadendo, e perchè la città è ormai in stato di allerta. Oggi pare che qualcuno sia stato ucciso..."
"Si" replicò lei, debolmente.
"Ho sentito l'allarme risuonare entro il perimetro delle mura..."
"E' proprio questo che il Reggente si propone di evitare" riprese lui, con convinzione maggiore.
"Non vogliamo che dei ribelli in preda alla sete di vendetta e alla furia omicida imperversino nella nostra bella città e non solo, ma nell'intera nazione. E purtroppo è giunto il momento di usare le maniere forti"
La donna rimase in silenzio un lungo attimo, riflettendo.
Alzò la testa verso di lui e, fissandolo intensamente negli occhi, disse: "E che mi dici di oggi?"
Il tono era calmo adesso, ma duro, quasi accusatorio.
Il fuoco era spento, ma ardeva ancora sotto la cenere.
"Sono morti solo dei traditori, Ayleen..." rispose Nival fermamente, convinto della veridicità di quell'affermazione.
"Noi siamo ancora vivi" aggiunse a testimonianza di ciò.
"Magari non ne siamo del tutto usciti indenni...ma siamo vivi. Era programmato, non un puro caso. L'incantesimo...o qualunque altra cosa esso fosse, non era indirizzato a tutti i presenti, ma solo ai ribelli...E loro sono morti"
Sebbene quella frasse suonasse chiaramente come punto, fine della questione, la donna non sembrava aver voglia di tenere ancora per se le proprie considerazioni.
"Ma perchè non rinchiuderli?" ribattè, irremovibile.
"Perchè i ribelli durante le loro riunioni si scambiano informazioni sugli ultimi congegni e tipi di serrature e come scassinarle. I ribelli sono abili a scassinare una serratura almeno quanto un apprendista della Corporazione"
Ayleen accusò duramente il colpo e tacque.
"Ayleen" disse l'angelo in tono conciliante, sorridendo e scuotendole dolcemente la testa, che aveva tenuta ancora tra le sue mani.
Ayleen alzò lo sguardo sul suo viso, incrociando i glaciali occhi di Nival, che la scrutavano con una luce di apprensione e di preoccupazione.
"Non fare più simili discorsi...te ne prego"
Lei annuì piano piano, rimanendo in silenzio.
"Hai ragione...scusami..." sospirò.
"Se il Reggente ha fatto questo è per un'emergenza...è..." fece una breve pausa, alla ricerca delle parole più adatte.
"Per un bene superiore"
I dubbi erano spariti.

Edited by *Stellina_90* - 20/4/2008, 22:53
 
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Fu tremando che Laim mosse un primo passo per allontanarsi dai due assassini, ma la ferma presenza di Shalenaar, rassicurante, lo aiutò. I due si diressero rapidamente, quasi di corsa, verso la fine del corridoio, poi scomparvero dietro l'angolo.
Ghilendor strinse i denti e imprecò sottovoce quando sentì lo spegnersi dei passi in lontananza. Non ci erano caduti.
Narhd si mise a sedere e senza una parola, estratto un rotolo di bende dalla tasca, si fasciò la ferita.
Il silenzio era calato di nuovo nei tetri tunnel delle fogne, rotto solo dallo sporadico squittio di un ratto, o dal cadere di una goccia d'acqua. Entrambi gli assassini erano immersi in profonda meditazione, nel senso che stavano contando i secondi che li separavano dall'essere divorati e al contempo stavano cercando un modo per scampare a quell'ingloriosa fine.
Fu Ghilendor a rompere il silenzio per primo.
"Dove credi che andranno?"
Narhd scosse la testa, tetro.
"Ovunque, per quanto ne sappiamo. L'unico modo che abbiamo per recuperarli sarebbe mettere allo scoperto l'intera organizzazione ribelle e setacciarla fino in fondo. Ma..."
"Sai che ti dico?" disse Ghilendor, interrompendolo. "È esattamente quello che faremo."
"Noi... che cosa? Ma sei impazzito?"
"Preferisci diventare cibo per... bestie?"
"Certo che no, ma pensaci, è un'impresa impossibile! Dovremmo infiltrarci, scoprire, spiare... e non sappiamo nemmeno se l'Arcimago ci lascerà in vita!"
Gli occhi di Ghilendor scintillarono nel buio.
"Ricordi cosa diceva nostra madre? Tutto è possibile, se si è abbastanza motivati. E noi siamo motivati, fratello. Del resto, che abbiamo da perdere?"
L'altro non rispose subito, ma infine annuì.
"E sia. Tanto non abbiamo scelta."
Gli assassini si rialzarono e si misero a correre verso la fine del corridoio.

Non molto tempo dopo Laim e Shalenaar uscirono dalle fogne tramite un passaggio segreto, che li portò in una piccola fattoria poco fuori le mura. Furono accolti dal padrone in persona, un uomo robusto e tarchiato, con un paio di grandi baffi color paglia. Li scortò in una stanzetta interna, dove offrì loro un forte cordiale mentre li informava della situazione in città.
"Pessime nuove," disse, versandosi una dose generosa di liquido marrone scuro. "Il reggente è caduto in paranoia e ha fatto intervenire direttamente l'esercito. Praticamente è guerra, i soldati sono autorizzati ad uccidere ogni sospetto. Non serve nemmeno uno straccio di prova per essere fatti a pezzi. Folle... Non avrei mai creduto che arrivasse a tanto."
Laim corrugò le sopracciglia. "Ma questo significa guerra civile! Dove vuole andare a parare?"
"Non ne ho idea," rispose l'uomo. "Però so che sarebbe il caso che voi vi levaste di torno per un po'. Sapete, hanno già cominciato le ricerche su in città, e presto arriveranno anche qui."
"Sappiamo che stai rischiando molto, e ti ringraziamo," disse Shalenaar. "Ma non possiamo scappare, non ora che ai ribelli serve più che mai un capo."
Cadde un lungo silenzio. Fu Laim a romperlo.
"Dobbiamo andare, forza. Non devono trovarci."
I due si alzarono e il fattore li accompagnò ad una porta che dava sui campi.
"Maneia e Alberdan hanno chiesto vostre notizie, di recente," sussurrò loro l'uomo prima di richiudere la porta. "Vi consiglio di contattarli."

***



Ayleen sospirò.
"Nival, Nival... Perché siamo arrivati a questo? Perché non possiamo vivere in pace e armonia, senza guerre, senza odio e spargimenti di sangue?"
L'angelo riflettè un momento, scegliendo le parole.
"Perché il male esiste da sempre, e sempre esisterà. Non è possibile annientarlo, ma solo arginarlo, combattendo fino alla fine. Se non lo facessimo il male esloderebbe, travolgendo ogni cosa buona e giusta, ogni cosa a cui teniamo... È l'unico modo che abbiamo per preservare il bene."
Ayleen sospirò di nuovo.
"Già... ma vorrei che non fosse così."
Doveva essere periodo di silenzi, perché cadde anche tra di loro, ciascuno perso nei propri cupi pensieri.
Infine, Ayleen si alzò.
"Grazie per avermi prestato ascolto, Nival. Io non... non riuscivo a trovare la via. Ora tu me l'hai mostrata. Grazie."
Nival la accompagnò alla porta, ma mentre la guardava fare pochi passi nella strada e spiccare il volo, sentì una sgradevole sensazione di amaro in bocca.
Si sentiva come se avesse mentito a tutti e due.
 
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La guerra civile, Libro I, Capitolo I ~
E così, la guerra civile iniziò, imperversando lungo il paese. Ovunque sospetti ribelli venivano incatenati senza processo e impiccati o messi al rogo.
il Principe e la maga sua amica erano ancora liberi ed erano consci che il reggente voleva la loro testa.
Ma non li trovò. Mentre i ribelli morivano e uccidevano, i due eroi dirigevano le azioni di guerriglia, indebolendo l'esercito regio che li combatteva.
E intanto, i ribelli continuavano a ricevere nuova linfa vitale dai giovani, consci che il re non era altri che una marionetta nelle mani del reggente.
In mezzo a questi giovani, due fratelli, molto diversi fra di loro, aderirono al movimento ribelle.
Dissero di volere unirsi per conoscere gli eroi che quotidianamente rischiavano la vita per loro.
Nel frattempo, nelle sale della corporazione, il grande Arcimago Thazaar Alharuun Kherayd sorrideva.
Era divertito da quei due, che pur di servirlo andavano perfino a infiltrarsi tra i ribelli.
Beh, tanto meglio, pensò.
Voleva mandare delle spie, ma, grazie al favore del caso, avrebbe preso due piccioni con una fava.
E intato che l'arcimago tramava, nelle sale del castello reale, il Reggente dava ordini perché i capi dei ribelli fossero cercati, catturati e portati in sua presenza.
Voleva conoscerli, interrogarli e infine ucciderli tra le sue mani. E allora, il regno e la città sarebbero stati in mano sua.
Nessuno avrebbe osato fermarlo.
E mentre il mondo attorno a loro si sviluppava e crollava, per poi ricostruirsi, due giovani angeli, ignari delle tribolazioni del mondo, guardavano, mano nella mano, il sole calare all'orizzonte dalla torre più alta della città ..

Roentus XVI, custode della biblioteca di Saaherzia

 
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Capitolo II

Erano passate alcune settimane dall'inizio delle ostilità, e il conflitto non aveva tardato a diventare guerra aperta, diffondendosi in diverse città del regno. Le forze dei ribelli, seppur meno addestrate ed equipaggiate, potevano contare sul carisma dei loro capi e sulle motivazioni che essi sapevano infondere nei loro uomini.
I soldati reali, invece, erano spinti dalla paura di essere fatti a pezzi dalle mani del Reggente.
In ogni caso, la situazione pareva pendere a favore dei soldati reali, soprattutto per via la feroce repressione messa in atto dal Reggente. Non poche delle fila dei ribelli erano state assottigliate da quelle pattuglie di soldati che la notte facevano irruzione nelle case, sfondando la porta a calci e trascinando fuori a forza il malcapitato. Ancora più terribili erano le pubbliche esecuzioni, i roghi e le impiccagioni che avvenivano ormai giornalmente. Bastava un sospiro di troppo, o l'essere d'intralcio in qualsiasi modo al Reggente, o ricchi, ma non abbastanza da garantirsi protezione: considerato che i beni delle vittime venivano confiscati, era un buon modo per rimpinguare le casse reali.
Ma per quanto il terrore provocato da questa repressione fosse grande l'odio fermentava sempre di più nel popolo, un odio che tuttavia era pesantemente controbilanciato dalle distribuzioni gratuite di cibo e di beni di prima necessità che avvenivano a intervalli regolari. Il Reggente si premurava di apparire agli occhi della plebe come un benefattore, un eroe, un santo; un uomo che stava riportando l'ordine dove regnavano l'anarchia e la criminalità. Era sempre stata la sua specialità apparire candido pure con le mani sporche di sangue.
Ora, seppure questo trattamento avesse un pesante effetto sulle classi più basse, tra gli esponenti di una borghesia medio-ricca che non avevano interessi a perseguire gli scopi del Reggente, ma che anzi avrebbero tratto giovamento da un rovesciamento di poteri, circolava un deciso malcontento e questa stessa classe si faceva guida di una contro-propaganda a sfavore del reggente; segreta, naturalmente, ma era soprattutto grazie a questo fatto che i ribelli continuavano ad avere rinforzi freschi.
Di fatto, buona parte del popolo, i più poveri, coloro che vivevano tutta la loro vita con la testa bassa, sopravvivendo a stento e a cui non interessava quale regnante ci fosse al trono - del resto le tasse sono sempre tasse - e che, tra l'altro, il Reggente si ingraziava con le distribuzioni gratuite di beni, rimaneva neutrale, o perlomeno simpatizzante al Reggente. Il terrore e il cibo sono due armi potentissime perché i contadini rimangano al loro posto.
Solo chi stava meglio economicamente poteva cominciare ad avere ideali, a sentire sulla propria pelle il peso sgradevole di un tiranno e, dunque, ad odiarlo e prendere parte attiva alla rivoluzione.
Era un problema, quello delle masse popolari neutrali, perché se un ribelle avesse chiesto aiuto ad uno di loro, si sarebbe ritrovato la porta sbattuta in faccia; inoltre, perché la rivoluzione avesse successo non c'erano molti modi: il Reggente doveva morire, ed era più facile prendere d'assalto il palazzo insieme all'intero popolo piuttosto che intrufolarcisi di nascosto - questo per via della montagna di incantesimi che lo proteggevano dagli intrusi.
Eppure, per quanto contraria, Shalenaar stava seriamente cominciando a prendere in considerazione la prima ipotesi.
La mezzo-drago si strofinò gli occhi stanchi e si alzò a fatica dalla sedia. Davanti a lei stava una piantina del palazzo tracciata su una pergamena, tenuta aperta da quattro pugnali piantati agli angoli.
"No, non funziona."
La donna fece alcuni passi intorno al tavolo per sgranchire le gambe indolenzite.
"Insomma, così non stiamo venendo a capo di nulla. Quel posto è una fortezza."
Un'ombra di sconcerto passò sugli altri occupanti della sala. Laim, l'aria tirata pure lui, si massaggiò le tempie.
"Eppure... ci deve essere un modo, Shalenaar. Deve esserci. Tutto ha un punto debole."
"Forse il Reggente no. Forse è stato così astuto e potente da evitare di averne."
Il silenzio cadde sulla sala.
"Io rimango sempre dell'idea che una sollevazione popolare farebbe comodo," disse ad un tratto un uomo seduto alla destra di Laim.
Era robusto ed altletico, i muscoli guizzanti sotto le vesti di lana grezza, gli occhi scuri e caldi, i capelli neri e crespi.
"Sì, grazie Alberdan, sarebbe gradita una soluzione anche a quel problema," disse scocciata una donna alta ed esile, riconoscibile come elfa dalle orecchie a punta e dai capelli argento pallido.
"Per quanto siano scontenti, non lo sono mai abbastanza da scendere in piazza. Idioti. Non capiscono che questo fare nulla sarà la loro rovina?"
"Tuttavia, Maneia, questo sembra più semplice," rispose l'uomo chiamato Alberdan. "Basterà aspettare un errore nella sua macchina di propaganda, una carestia o qualcosa del genere... A quel punto potremo pilotare gli umori della gente e portarli dalla nostra parte."
"Una carestia, dici? E come avresti intenzione di fare?" replicò Laim, sorpreso. "E in ogni caso, i granai sono ben pieni, non vedo come..."
"Sabotaggio, mio sire."
"Che co...? Ma sei impazzito?"
Laim si alzò di schianto.
"Va bene se non dipendesse da me, ma non contribuirò a rendere ancora più miserabile la condizione della mia gente, no grazie! Quello che dici porterebbe a..."
Non riuscì a completare la frase, perché un giovane fece irruzione trafelato nella stanza.
"I soldati! Ci hanno scoperti!"
In pochi secondi tutti si erano alzati, Shalenaar aveva recuperato la pianta del palazzo e spento le luci ed erano usciti.
"Dèi, è il terzo rifugio che trovano questa settimana," sibilò la mezzo-drago a Laim. "Sto cominciando a sospettare che ci sia una perdita di informazioni, sai?"
Laim sobbalzò.
"Una spia, qui, tra di noi? Nei ranghi più alti? Non è possibile, sono tutti degni di fede."
Shalenaar non approfondì ulteriormente la questione, anche perché in quel momento si dovettero mettere carponi per entrare nel passaggio segreto che li avrebbe condotti al sicuro fuori dall'edificio. In lontananza si sentivano già urla e rumore di stivali chiodati.

***



"Abbiamo perlustrato tutto l'edificio, mio signore: non c'è nessuno, anche se è chiaro che è stato abbandonato di fretta poco fa. I fuochi spenti fumano ancora."
Nival digrignò i denti.
"Dannati ribelli, riescono sempre a sfuggirci."
L'angelo fece un paio di passi dentro la soglia della villa di campagna che si era rivelata essere un covo di ribelli.
"Sai cosa mi sembra?" disse al soldato che gli aveva riferito gli esiti della ricerca. "Di combattere un serpente: ogni volta che siamo sul punto di afferrarlo, quello si contorce e ci sfugge."
"Non vi preoccupate, mio capitano: sono certo che prima o poi li prenderemo. Questa volta ci siamo andati vicini, i loro capi erano riuniti qui."
"Già, speriamo."
Ma lo sperava veramente? Seppur con riluttanza, in quelle settimane di caccia spietata Nival era arrivato a rispettare i suoi avversari per la loro capacità di eluderli, e presto quel rispetto si era tramutato in ammirazione. Anzi, a volte si scopriva, non senza un brivido di terrore, a discutere gli ordini del Reggente nella propria testa, trovandoli sbagliati. Anche se poi li eseguiva senza battere ciglio.
Teneva ovviamente questi pensieri il più nascosti possibile in fondo alla mente, non confidandosi con nessuno, neppure con Ayleen. Essere giustiziato per tradimento era l'ultima cosa che gli serviva, in quel momento.
Mentre l'angelo esaminava con interesse i delicati affreschi che ornavano l'atrio della villa, un secondo soldato gli si avvicinò.
"Signore, pensiamo di aver trovato la stanza dove erano riuniti. Volete vederla?"
Nival annuì e seguì il soldato all'interno dell'edificio fino a una stanza di legno priva di finestre, illuminata da candele poste un po' ovunque e da un largo camino di solida pietra.
"Avete già cercato la presenza di passaggi segreti?" chiese l'angelo al soldato.
"Sì, signore, ma senza risultati."
"Voglio che lo rifacciate, con particolare attenzione a questa stanza e a quelle subito intorno. Fate rapporto per qualsiasi cosa troviate."
Il soldato annuì e sparì dalla soglia dove stava in attesa.
Nival esaminò la stanza: era larga sei o sette metri e al centro era posto un tavolo di legno scuro e pesante, dalla superficie quasi perfetta a parte per quattro buchi profondi, che formavano un rettangolo. Nival li esaminò chiedendosi se fossero i segni di ciò che teneva aperto un rotolo di pergamena, e se sì cosa ci fosse scritto sopra. La stanza era vuota a parte il tavolo e alcune sedie, quindi Nival prese ad esaminare con attenzione le pareti e il camino, senza risultati. Era quasi certo che in quella stanza non ci fosse nulla di particolare e stava per andarsene quando notò, alla luce di una candela, uno strano luccichio provenire da sotto una sedia. Si chinò, e raccolse una collana.

***



"Uh oh," fece Maneia nell'oscurità.
"Che c'è?" chiese Laim, dietro di lei.
"Temo di aver perso il mio medaglione."

***



Nival esaminò l'oggetto. Era composto da un globo di un materiale trasparente, simile al vetro, appeso ad una catenella d'argento finemente lavorata in tanti anelli a forma di foglia. Il globo era stranamente caldo al tatto.

***



"Vuoi dire," si intromise la voce di Shalenaar. "Vuoi dire quel medaglione magico che..."
"Esatto."

***



Nival guardò incantato quello che teneva in mano. Il globo non era perfettamente trasparente ma pareva contenere una sorta di nebbia traslucida, in cui lo sguardo dell'angelo si predeva, ipnotizzato.

***



"Io torno a riprendermela."
"Maneia, sei impazzita?"
"È troppo importante perché rimanga in mano a loro, pensa a cosa ne farebbe il Reggente. Io torno."
"No no no no tu non vai da nessuna parte. Lì è pieno di soldati e verresti catturata subito. Non farlo."
"Ma..."
"Possiamo pensarci noi, se volete."
A parlare era stato uno dei due giovani che il gruppo aveva incontrato ad attenderli nel passaggio per aiutarli a fuggire.
"Voi?"
"Siamo piuttosto abili in questo genere di... cose. Possiamo riprendere questo medaglione e riportarvelo indietro senza rischi. Oh be', insomma, quasi."
Ci fu un attimo di silenzio.
"Sapete il fatto vostro, pare. Andate, dunque, e fate in fretta."
"Agli ordini."
I due voltarono sui tacchi e tornarono indietro.
Cosa non si fa per ingraziarsi questi ribelli, pensò Ghilendor divertito mentre lui e Nhard correvano nelle tenebre del passaggio.
 
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